
Donato Savin
Ormai noto a livello internazionale, è uno dei più famosi artisti valdostani, un artigiano contemporaneo
Paolo Levi è un critico d’arte, giornalista, saggista, curatore di eventi italiani ed internazionali.
Vittorio Vertone è autore e direttore consapevole di un’orchestrazione inedita di armonie cromatiche. Lo rivela in ogni composizione di fattura conclusa, anche se solo in apparenza; se gli appartenesse una tela d’infinita lunghezza su cui dipingere, l’intuito e la mano veloce lo guiderebbero in territori sconosciuti di scuola Lirico Informale, che gli è da sempre congeniale. A differenza dei maestri storici che lo hanno preceduto – pensiamo ad Hans Hartung, a Emilio Vedova o a Franz Kline – egli è talentuoso nell’arricchire la gestualità dell’Espressionismo Informale, con una filigrana di istintiva poeticità. È quindi solare la soglia che ci introduce nell’abbagliante tavolozza astratta di questo artista seducente, facendoci da guida nell’evolversi delle variabili cromatiche e nelle inarrestabili vibrazioni ottiche. A chi non ama la musica classica è impedito l’accesso a un simile accordo di sonorità squillanti accostabili ai fraseggi di contrappunto o di improvviso e sempre presenti nello spartito musicale del compositore. Affascinante sono questi percorsi espressivi in un universo torrenziale di cromia rivelatrice, o in un territorio nero, o di fronte a un orizzonte aperto. Sono fiabe inafferrabili come i sogni, che si sovrappongono le une alle altre, dialogando. Grazie alla sapienza dell’autore le maglie informi del colore si aprono a volte a un paesaggio allusivo, o forse a degli alberi in fiore, come sigle emotive di un animo ardente; e anche a visioni prospettiche riprese dall’alto o da un altrove misterioso, rappresentando il nostro torrenziale scorrere quotidiano.
Paolo Levi
Il linguaggio della pietra è silenzioso e ancorato alla terra, si nutre dei nostri passi e accoglie i rivoli d’ acqua dei torrenti, conserva la memoria del tempo e racconta la storia delle montagne. Donato Savin lo sa bene e nelle sue sculture pare ascoltare questo linguaggio. Ogni sua opera parte da una ricerca che è prima di tutto materica. Così, mentre solitario cammina in montagna, costeggia il greto di un torrente, percorre il ripido margine di un bosco o attraversa una pietraia, Donato Savin coglie la venatura di un marmo, scopre una lucentezza nascosta, trova il caldo, inatteso cromatismo dell’ onice nascosto nella terra bruna della Valle d’Aosta. Il suo percorso artistico nell’ambito della scultura è ormai più che decennale e la mostra personale che l’Assessorato regionale dell’istruzione e cultura gli ha dedicato a Parigi nel 2008 ne ha sancito il riconoscimento, sottolineandone la qualità. Nell’ ambito della Fiera di Sant’ Orso, poi, Donato Savin ha saputo trovare uno spazio e una riconoscibilità che lo pone tra i più significativi scultori valdostani della sua generazione. Ha saputo, soprattutto, innestarsi nel solco della tradizione con una visione personale e un approccio assolutamente contemporaneo. Le sue stele in pietra, e in particolare alle prime opere degli anni 2004, 2005 e 2006, hanno il fascino aspro della scultura arcaica, rinviano ad una dimensione ancestrale e preistorica, legata ad un passato lontano e mitico, quasi fossero emergenze totemiche che riportano alla mente gli straordinari ritrovamenti archeologici di Saint-Martin de Corléans ad Aosta. Ma accanto a queste sculture severe in cui dalla pietra grezza fuoriesce l’ accenno di una forma che diventa fulcro e significato, lo scultore di Cogne ne realizza altre in cui ricerca una levigatezza estrema delle superfici, enfatizzando la preziosità del materiale litico. Davanti a queste sculture levigate, sia che rappresentino una maternità o gli animali selvaggi delle nostre montagne, Donato Savin invita il visitatore ad avvicinarsi e a toccarle, introducendolo ad una fruizione più intensa e amplificata. Il tatto diventa inattesa e sorprendente porta di accesso alla scultura, che supera l’approccio meramente visivo e induce sensazioni nuove, consentendo di comunicare l’arte anche ai non vedenti. La magia della scultura è lì, a portata di ognuno di noi.
Paolo Levi
Attenta osservatrice, Elena Terziroli chiude e conclude su fogli da disegno la singolarità di incontri casuali durante le vacanze al mare: signore sulle sdraio dalle posture goffe e disarmanti; nell’apporto significante del segno cromatico, esse sono lo specchio esecutivo di un’autrice garbata, alla quale non manca un’ironia che ci rimanda al Mino Maccari degli Anni Venti. Terziroli non sogna, ma osserva con acume, mettendo in scena un Teatro dell’Arte tutto suo; si tratta di un gioco delle parti composto non solo di madame adulte spesso sovrappeso, ma anche di bimbi giocosi. La sua freschezza espressiva opera sull’immediato della quotidianità con leggerezza e diletto, in una narrazione colta e quindi tutt’altro che banale.
Di diversa espressività è invece il ciclo pittorico di nudità femminili in posture orizzontali. Sono apparenze essenziali, dove il colore ha una funzione soprattutto segnica; non hanno sfondo e neppure un contesto esistenziale, e quindi senza appigli che ne testimonino l’esistenza. Sono corpi in ostaggio di una solitudine che si radica – direi – nell’Espressionismo della Mitteleuropa del secolo scorso.
Paolo Levi
Ormai noto a livello internazionale, è uno dei più famosi artisti valdostani, un artigiano contemporaneo
Attenta osservatrice, Elena Terziroli chiude e conclude su fogli da disegno la singolarità di incontri
Vittorio Vertone è Nato a Coira (Svizzera), 1970Vive e lavora a Pietragalla (Italia) FORMAZIONE: Ha
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