GLI ABBRACCI DI MICHELE ROCCOTELLI
Entrare nell’atelier di Michele Roccotelli significa essere abbracciato da quei colori di cui il maestro mai si sazia, nonostante i decenni trascorsi a trasformare tele e supporti di risulta in lussureggianti schermi del sogno. Questa è, infatti, la sensazione che colpisce il visitatore che abbia la fortuna di aggirarsi fra le opere in corso di realizzazione e quelle, tanto più numerose, depositate e conservate con grande meticolosità, in base al soggetto, alla datazione e alla misura. L’impressione è, insomma, quella di entrare nella sfera onirica dell’artista e, se è vero che si sogna in bianco e nero (così dicono, anche se non me ne sono mai persuaso), Roccotelli impiega tutto il giorno – e tutti i suoi giorni – a trasformare i suoi sogni in immagini coloratissime che costruiscono un mondo alternativo: un mondo immaginario che pure si aggrappa con forza e con felice convinzione alla matericità degli oli, dei cartoni, dei legni, delle ceramiche e – prima ancora – agli infiniti e pure mai sufficienti barattoli e pennelli e cavalletti. In un tempo, come questo, velocemente e pericolosamente proiettato verso l’immateriale e l’inautentico, l’artista barese (per la precisione, di Minervino Murge) scommette ancora e sempre sulla fisica delle due, delle tre e persino delle quattro dimensioni, quando, alla superficie del quadro e allo spessore dei materiali intelligentemente sovrapposti secondo l’antica lezione del collage (prima liberty, poi cubista, poi informale), si aggiunge la linea del tempo che trascorre e insorge sempre a raccontare le sue storie, le sue memorie, i suoi fantasmi. Non è un caso che l’ultima serie organica di soggetti, pensata e realizzata da Michele Roccotelli, si discosti dall’astrattismo assoluto (che è una delle cifre distintive del maestro) e anche dalle moderate concessioni al paesaggismo presenti nei progetti Urbe e Landscape degli anni passati, per approdare al trionfo dei corpi nudi, imponenti e magnetici se isolati, ma ancora più suggestivi se avvinghiati in un amplesso: è questo il cuore della mostra Embrace, per la galleria SanGiorgioArte dal 10 febbraio 2024 a Bari, che rivela il più recente impegno dell’artista a far scaturire dall’informale astratto delle sue nuvole cromatiche corpi femminili e maschili che cercano una presenza, che chiedono di ‘nascere’, finalmente, invitando chi guarda a riscoprirsi in quelle vite esplose, energiche, innamorate. Il nuovo progetto è stato realizzato quasi integralmente nel 2020-2021, cioè nel pieno del distanziamento sociale imposto dalla pandemia di Coronavirus, e quegli amplessi o quei baci in primissimo piano erano prima di tutto la formulazione di un auspicio e, insieme, il canto nostalgico di una sensualità perduta. Ma a me pare che questi corpi che si cercano e si trovano siano l’espressione più compiuta di una poetica degli ‘abbracci di colore’ che, in fondo, l’arte di Roccotelli ha sempre declinato, sia pure con soggetti e temi sempre diversi, ma con una coerente e inconfondibile cifra stilistica. Basterebbe visitare la collezione permanente custodita nella Pinacoteca a lui intitolata a Minervino (e documentata in un bel catalogo pubblicato nel 2020), per rendersi conto che tutto il suo itinerario (circa sei decenni, ormai) si è svolto nel segno di un’arte che definirei ‘invasiva’ o ‘pacificamente aggressiva’, cioè debordante, mai paga dei risultati conseguiti e sempre capace di nuove variazioni. Sembra che ogni pennellata e ogni pezzo di carta, ogni frammento di giornale o di cartone ondulato siano la spinta che occorre alle immagini vagheggiate per diventare volumi in movimento nello spazio: un effetto magico che pare particolarmente ricercato anche nei non pochi lavori in ceramica che il maestro ha realizzato negli anni. Colori e materiali di riuso si confondono e collaborano a creare quella quarta dimensione del tempo a cui alludevo prima, come appare evidente soprattutto nel ricco progetto Urbe, nel quale la città (tema moderno e postmoderno come nessun altro) è reinterpretata alla luce dell’immaginario pugliese – le case imbiancate a calce, le cattedrali romaniche, le terrazze sui tetti – e sfrutta la ‘porosità’ della carta di giornale e del frammento fotografico per ricordarci che tutto ciò che sogniamo ha origine in una storia già data e condivisa e porta con sé le memorie di sentimenti altrui, persino ignoti o insospettabili. Ma occorre l’invenzione di un artista del colore per ridare a queste rovine del tempo una nuova vita e trasformarle in una Camera delle Meraviglie pronta ad accogliere lo spettatore.
Daniele Maria Pegorari – Università degli studi di Bari “Aldo Moro”