Giorgio de Chirico - La METAFISICA

Giorgio de Chirico nasce nel 1888 a Volos in Grecia. Giovanissimo segue un corso di disegno alla Scuola politecnica di Atene, poi studia all’Accademia di Belle Arti di Monaco. Dal 1910, le letture di Nietzsche lo spingono a produrre i primi autoritratti e paesaggi metafisici. La prima personale è del 1919. Gli artisti surrealisti sono molto sensibili alla sua pittura metafisica che prefigura quella del loro movimento. De Chirico crea un’opera in cui emerge un clima di nostalgico mistero. Negli anni ’20, l’artista utilizza una fattura più classica e delle tecniche riprese dagli antichi maestri (velature, tempere). Tra il 1924 ed il 1929 vive nuovamente a Parigi dove raggiunge il movimento del Novecento in netta opposizione al modernismo. Viene criticato per questa sua scelta e molte delle sue relazioni artistiche gli girano le spalle. Esplora il tema del doppio nelle tele in cui si mette in scena a fianco della madre, del fratello o di specchi. Dipinge anche personaggi della mitologia greca, ritratti, cavalli, compone nature morte che definisce “vite silenziose”. De Chirico si compiace nel confondere le carte della propria arte, creando intorno a sé l’enigma che lo contraddistinguerà. Lo si critica di imitare sé stesso. Illustra diverse opere (Apollinaire, Cocteau, Eluard),concepisce decori e costumi per l’opera, scrive romanzi e prose corte. Artisti come Ernst, Tanguy, Dali o Magritte hanno sottolineato l’influenza che egli ha saputo esercitare su di loro. Muore nel 1978 a Roma.

Profondamente ispirato dal suo legame biografico alla Classicità greca, Giorgio de Chirico sviluppò una concezione pittorica al di là della realtà visibile. Il termine metafisico (ripreso dall’omonima filosofia greca) esprime a pieno questa volontà di non fermarsi al mondo concreto, ma di puntare oltre: verso ciò che è enigmatico e inquietante.

Che ci fossero nature morte, o piazze cittadine, l’atmosfera delle scene era pervasa da un senso di enigma. Sorgevano domande sui soggetti presenti: su cosa significassero le vele accennate dietro gli edifici delle piazze, oppure come mai l’orologio segnasse un’ora inconciliabile con la luce solare rappresentata. C’era qualcosa oltre la realtà visibile, ma nessuno era in grado di spiegare cosa sia.

Tanto le piazze desolate, quanto i manichini senza orecchie né bocca, trasmettevano il silenzio caratteristico dei rapporti umani. Persino quando due figure erano accostate tra loro, come in Ettore e Andromaca (1917), i loro volti muti li mantenevano estranei l’uno dall’altro. Era l’immagine della società contemporanea secondo de Chirico, in cui era difficile comunicare tra persone, ma ancor più tra generazioni. Quello che stiamo diventando inesorabilmente oggi.

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